Un brusio di fondo…

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Mi ha scritto in privato una collega. Non vuole che il suo nome appaia ma la sua mail mi ha davvero colpita. Mi ha raccontato che durante l’ultimo scrutinio il suo dirigente ha imposto un cambiamento di un voto di un suo alunno accusandola di essere troppo “buona” e “caritatevole” e ha preteso che il Sei da lei proposto diventasse un  Cinque. La collega mi spiega che in realtà la media del sei non c’era ma che lei e le colleghe avevano deciso di premiare comunque il ragazzo che si era impegnato moltissimo e che aveva grosse difficoltà familiari . Mi chiede un consiglio, forse il suo è più uno sfogo, per una situazione vissuta come una profonda ingiustizia per se stessa e per il suo alunno

Mi è sempre sembrato così difficile valutare i mie alunni , dare un voto, un numero; non riesco ad essere oggettiva, non lo sono mai stata, nemmeno nella mia vita privata, non ho mai fatto la scelta più conveniente, quella più furba o quella che mi avrebbe fatto ottenere dei vantaggi, credo si chiami intelligenza emotiva, e io ne ho sempre posseduta una quantità industriale ( purtroppo o per fortuna…) . Non sono nemmeno tanto brava con i numeri.

Le due cose sommate fanno di me una persona faticosamente poco pratica, una che si perde in congetture e riflessioni etiche e morali su ciò che è giusto e su ciò che non lo è; a volte credo sia la mia migliore qualità, molte altre lo ritengo il mio peggior difetto. Una cosa è certa: sono una che fa rumore.

Sono una che non sa stare zitta, che non si tiene “un cecio in bocca” ( … si dice dalle mie parti), che dovrebbe contare fino a cento (…l’ho già detto che con i numeri non sono brava, vero?), che dovrebbe tapparsi la bocca ogni tanto.

Non ci riesco. Forse perché nella mia vita per troppo tempo sono stata in silenzio ; la bimba con i capelli lunghi e gli occhioni verdi , seduta in classe con il suo grembiulino bianco che spesso non parlava , o meglio, non diceva.

Una apparente felicità che però anche allora faceva un gran rumore. Un rumore che molti adulti non hanno mai sentito o  hanno finto di non sentire . Facevo un silenzioso frastuono che rimaneva muto .

Per molti anni ho fatto un gran rumore silenzioso nella speranza che qualcuno lo sentisse.

Nella mia testa, un continuo brusio di fondo che mi impediva di essere quello che gli altri avevano deciso che io sarei dovuta essere, ero  una bambina dotata ma che si impegnava poco. Ma mai nessuno che si chiedesse il perché.

Ho dovuto salvarmi da sola, io.

Quando sono diventata un’insegnante ho deciso che sarei stata quel genere di insegnante che si chiede il perché, che  si ferma ad ascoltare quel brusio di fondo che alcuni alunni fanno. Forse è un dono , forse una condanna, ma quel brusio di fondo io lo sento molto bene, chiaro. Sarà perché lo riconosco, perché in fondo è uguale al mio.

Li guardo quei bambini che” scaldano il banco” , che non riescono mai a terminare un lavoro, che scoppiano a piangere di fronte ad un brutto voto o che non piangono affatto, nemmeno quando sarebbe naturale

Quelli che non indovinano mai il giorno della tuta, o che hanno sempre lo sguardo rivolto alla finestra, “sulle nuvole”  pensano in molti, o chissà dove, penso io.  Perché ognuno di loro entra in classe al mattino con un carico sulle spalle, per qualcuno un carico di cose belle, di tenerezze sulla porta prima di entrare, di ricordi di momenti gioiosi, per qualcun altro invece il carico è pesante, fatto di parole che non sa ripetere, di dolore, di tristezza che vive ma non sa comprendere e che fa un tale brusio nella sua testa da impedirgli  addirittura di pensare.

Ma sappiamo bene che  come dice Antoine de Saint- Exupéry ne Il piccolo principe:

«Agli adulti piacciono i numeri. Quando raccontate loro di un nuovo amico, non vi chiedono mai le cose importanti. Non vi dicono: “Com’è il suono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?” Le loro domande sono: “Quanti anni ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?” Solo allora pensano di conoscerlo».

A me i numeri piacciono poco , l’ho già detto. Pensavo che fosse perché non li capivo, invece ho capito che non mi piacciono proprio.

Non so se questo Dirigente abbia davvero compreso cosa significhi essere un’insegnante. Forse non ha nemmeno un’idea precisa di cosa significhi in certe situazioni essere un bambino.

Ma tu sì, cara collega. E questa già è una grande cosa. Dovrebbero premiarle le insegnanti che sanno “ascoltare” il brusio di fondo di certi bambini. Questo penso.

Licenziatemi, mandatemi una lettera di richiamo … definitemi “poco idonea per questa scuola”, poco importa. Vado a scuola ogni giorno con la speranza di poterla cambiare almeno un po’.

Vi lascio con questa favola di La Fontaine che ho ritrovato sul libro di Daniel Pennac , Diario di scuola

 

Il bambino e il maestro di scuola

Racconto questa per mostrar d’un tale
la stupida burbanza magistrale.

Un Ragazzo, giocando al fiume in riva,
cadde nell’acqua e forse vi periva,
se non avesse un salice afferrato
che, dopo Dio, lo tenne sollevato.

Mentre nell’acqua ei sta fino alla gola,
viene a passare un maestro di scuola.

– Aiuto, aiuto! – grida quel che annega.
Il maestro si ferma, e a lui che prega,
con una voce burbera e nasale,
gli somministra questa paternale:

– Ah scimunito, ah sciocco, ah babbuasso!
Guarda dove si caccia il satanasso.
Andate pure a prender dell’affanno
per questi tristi, oh sì, che vi faranno
morir tisici! ah poveri parenti
a cui tocca di questi malviventi!
Ah i tempi tristi, oh i figli traditori… -.
E quando ebbe finito, il tirò fuori.

Quanti non sono al mondo altri pedanti
e brontoloni e critici ignoranti,
razza dotta più in chiacchiere che in scienze,
che Dio conserva a nostra dannazione!
In ogni cosa, a torto od a ragione,
bisogna ch’essi sputino sentenze.

Prima di pena tirami, se puoi,
il bel discorso lo udiremo poi.

Buon lavoro collega, continua così.

Maestra Elena

 

 

 

 

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